Plastic Oceans - Stiamo plastificando i nostri mari, quali soluzioni?
Nel corso degli ultimi mesi è circolata su diversi canali la
notizia di una problematica ambientale che si sta progressivamente aggravando,
ovvero l’inquinamento dei mari e degli oceani.
Il responsabile, inutile dirlo, è l’essere umano, in
grado di scaricare annualmente milioni di tonnellate di rifiuti nelle acque
globali; nello specifico il problema riguarda l’accumulo di plastica che cresce
di anno in anno a ritmi sconvolgenti e rischia di creare gravi problemi nel
corso dei prossimi decenni.
Uno studio svedese dell’università di Lund ha stimato che
circa il 10% della plastica prodotta a livello mondiale finisce come rifiuto
negli oceani, mentre altre stime realizzate dall’Unep, il programma delle
Nazioni Unite per la tutela ambientale, tracciano il quadro più generale: 8
milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare ogni anno, e costituiscono
oltre l’80% di tutti i rifiuti marittimi.
Le previsioni per il 2050 non sono migliori: per tale anno la
quantità di plastica presente negli oceani sarà superiore alla quantità di
pesce, e la quasi totalità dei volatili marini, più precisamente il 99%, avrà
ingerito plastica almeno una volta.
Questi numeri riassumono la situazione attuale dei nostri
mari, in cui buste di plastica, confezioni usa e getta, bottiglie e contenitori
in plastica, spinti dalle correnti oceaniche sono andati a creare degli
accumuli nel bel mezzo degli oceani. Queste formazioni di rifiuti sono talmente
ampie da essere state rinominate ‘Isole di plastica’, e il National Geographic
ne ha localizzato la posizione.
I danni per l’ambiente e per la stessa salute umana sono incalcolabili.
Un oceano pieno di plastica rappresenta un pericolo molto serio per gli
ecosistemi e per ogni specie marina. Nello specifico il rischio più
grande è rappresentato dalle micro-plastiche, per cui è doveroso fare un
discorso diverso e al contempo più incerto.
Nel 2014 Andrés Cózar, ecologo marino dell’Università delle
Hawaii, ha pubblicato uno studio relativo agli accumuli di rifiuti di plastica
negli oceani, condotto dal suo team di ricercatori. Il risultato finale ha generato
un interrogativo: nella plastica censita mancano tutte le particelle di dimensioni inferiori ai pochi millimetri e, onestamente, nessuno è
al momento in grado di tracciarne la posizione.
L’ipotesi più accreditata è che questi micro-frammenti di
plastica siano andati a depositarsi sui fondali marini, specialmente nei più
profondi e inesplorati, con una conseguente scarsità di dati e informazioni a
riguardo.
Tornando alla maggior parte dei rifiuti in plastica, essi si
collocano nei primi metri al di sotto della superficie. Quali sono le possibili
soluzioni a questa problematica?
È assolutamente indispensabile una forte presa di posizione
da parte della comunità internazionale e delle Nazioni Unite contro l’utilizzo
indiscriminato della plastica nelle confezioni usa e getta. Un settore
particolarmente invasivo in queste produzioni è quello della cosmetica, mentre
a livello geografico i Paesi maggiormente coinvolti sono quelli asiatici che
negli ultimi anni hanno conosciuto uno sviluppo economico particolarmente accelerato.
Veniamo però agli aspetti positivi. Alcuni anni fa si era
tanto sentito parlare del progetto di un ragazzo olandese, Boyan Slat, per la
pulizia degli oceani. Il dispositivo, chiamato Ocean Cleanup Array, prevede un
funzionamento molto semplice.
Il dispositivo è ad imbuto, costituito da due panne
collegate ad un'unica piattaforma centrale; le due estremità convogliano i
rifiuti in plastica verso la piattaforma di smaltimento che procede a separare rifiuti
in plastica dal materiale organico.
Il progetto pilota, dopo i forti dubbi iniziali, è partito
in Giappone nel 2016 e durerà due anni. Se gli esiti saranno positivi sarà
possibile applicare la medesima tecnologia alle varie ‘Isole di plastica’
oceaniche.
Rimane comunque il problema delle micro-particelle in
plastica che non galleggiano nei primi metri al di sotto della superficie,
profondità entro la quale è efficace il sistema di Slat.
L’Ocean Cleanup Array può indubbiamente essere un rimedio
molto efficace, cosa che tutti ci auguriamo, al problema dell’accumulo di
plastica negli oceani, ma la soluzione deve essere ricercata nelle fasi
iniziali dei processi produttivi, quando la plastica ancora non è rifiuto.
La riduzione della presenza di plastica negli imballaggi,
nelle confezioni, nelle buste e nei vari contenitori deve essere il primo
passo, a livello produttivo; successivamente vengono: politiche adeguate per il
riciclo ed educazione contro gli sprechi, responsabilità rispettivamente statali
e dei cittadini.
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