Tonno in scatola - quanto è sostenibile la tua scatoletta?





Generalmente risulta molto semplice ed immediato identificare la sostenibilità con tematiche esclusivamente ambientali, legate al verde, ai livelli di inquinamento eccetera eccetera.

Esistono però, molti aspetti della vita umana quotidiana che sono strettamente legati con il concetto della sostenibilità ma che, purtroppo, vengono troppo spesso ignorati dall’opinione pubblica.

Una di queste tematiche è l’attività della pesca, ed in particolar modo il mercato del tonno. La filiera del tonno in scatola passa per numerosi step, ognuno dei quali è estremamente sensibile ad un comportamento più o meno sostenibile.

Vediamo di seguito quali sono e cosa viene, non viene o potrebbe essere fatto dagli attori coinvolti.

Il metodo di pesca, il primo passo di tutta la filiera, ha come ovvia discriminante la metodologia di pesca adottata. Esistono tre tipologie: la tradizionale pesca a canna, tramite reti di circuizione e tramite reti di circuizione con FAD. Le prime due metodologie permettono il mantenimento degli ecosistemi marini in quanto vanno ad agire esclusivamente su banchi di tonni individuati e selezionati.

Il vero problema è rappresentato dall’utilizzo dei FAD (Fish aggregating devices), dispositivi galleggianti attorno ai quali si raggruppano diverse specie marine. I FAD, una volta attirati grandi banchi, ne segnalano la presenza ai pescherecci i quali intervengono con grandi reti di circuizione pescando l’intero banco.

Questo sistema è estremamente dannoso in quanto, insieme ai tonni, vengono pescate altre specie di pesci, squali e anche tartarughe causando gravi scompensi agli ecosistemi marini. Purtroppo questo sistema viene impiegato indiscriminatamente su larga scala e sta portando all’estinzione di numerose specie e all’esaurimento di alcune aree di pesca.

Il secondo punto critico della filiera della pesca dei tonni è rappresentato dalle condizioni dei lavoratori impegnati nelle fasi di pesca e di lavorazione e trattamento del tonno pescato. In molti casi questi lavoratori sono soggetti a casi di sfruttamento e addirittura lavoro forzato.

Alcune flotte commerciali adottano la pratica del sequestro dei documenti per costringere i lavoratori a periodi di lavoro estenuanti; utilizzano lo stratagemma dell’impiego di una bandiera di una nazionalità differente da quella del mercato dove vendono il tonno pescato, in modo da evadere il controllo delle autorità.

Il lavoro sottopagato e lo sfruttamento orario sono invece la triste realtà delle fabbriche di lavorazione del tonno in scatola, in particolar modo cinesi e thailandesi, dove l’elevata concorrenza e la ricerca dell’abbattimento sfrenato dei costi per ottenere un vantaggio sulla concorrenza portano alcune imprese ad imporre condizioni lavorative disumane.

L’ultima problematica relativa alla filiera del tonno in scatola è il comportamento e le politiche delle aziende proprietarie dei marchi che vengono distribuiti ai consumatori. Inevitabilmente, sono queste aziende gli attori maggiormente in grado di selezionare e controllare la qualità e la sostenibilità della propria filiera.

Per questo motivo, da alcuni anni Greenpeace ha lanciato una campagna di sensibilizzazione e di valutazione delle maggiori aziende produttrici di tonno in scatola, “Tonno in trappola”, all’interno della quale viene pubblicato annualmente un report qualitativo delle maggiori realtà presenti sul mercato italiano.

Le aziende volenterose vengono coinvolte direttamente nel processo di report, e ricevono un feedback qualitativo in base a cinque criteri:
  • Politica aziendale: impegni sottoscritti e rispettati per garantire la sostenibilità di filiera
  • Metodo di pesca: trasparenza ed evidenza riguardo i metodi di pesca utilizzati
  • Specie pescate: impiego della specie meno a rischio, ovvero il tonnetto striato e tutela delle specie più in pericolo
  • Etichettatura: informazioni chiare ed esaustive riguardo la provenienza, la specie e il metodo di pesca impiegato
  • Responsabilità sociale: utilizzo di un codice etico e tutela dei lavoratori

Trovate qui i risultati dell’ultimo report realizzato da Greenpeace

Un atteggiamento più consapevole e sensibile da parte dei consumatori potrebbe cambiare fortemente gli equilibri del mercato, spingendo anche le aziende meno virtuose ad adeguarsi ai cambiamenti necessari per rendere la propria filiera trasparente e sostenibile.

Tra le peggiori troviamo Auchan, Mareblu e Lidl, mentre il leader indiscusso del mercato, Rio Mare, occupa solo la quarta posizione, ma sta attuando numerosi cambiamenti per migliorare la propria filiera.

L’unica azienda ad aver ottenuto una valutazione positiva è AsdoMAR di Generale Conserve, la quale sta puntando fortemente sulla qualità e sulla sostenibilità dei propri prodotti.


#sostenibilità #tonno #tonnoinscatola #greenpeace #tonnointrappola #pesca #FAD #AsdoMAR #Mareblu #stetsonvilla

seguimi su Facebook - Twitter

Commenti

Post più popolari